Desidero oggi illustrare il mio lavoro psicoterapeutico-meditativo, aiutandomi con la filosofia- teologia di Vito Mancuso, che va da tempo ispirando il mio lavoro specifico di psicoterapeuta.
Lezione 8
Due sue idee mi sono particolarmente preziose, ed egli le espone con grande chiarezza nei suoi scritti.
La prima concerne il nostro modo di conoscere, mentre la seconda entra nel merito dei contenuti della nostra conoscenza. Le riassumo brevemente. Noi conosciamo essenzialmente attraverso la nostra intelligenza e il ragionamento. È bene distinguere questi due aspetti, perché può accadere che vi sia un uso prevalente dell'“intellegere” (intus legere), ossia la capacità di cogliere e distinguere un oggetto di esperienza da un altro, ma al tempo stesso si ragioni poco o nulla e, di conseguenza, non si afferri il significato di ciò che andiamo distinguendo, anche brillantemente, con le nostre visioni intellettive. Per esempio, una mia paziente nomina e distingue con percezioni acute e molto vivide le persone care che la circondano da anni: il marito, il figlio del marito avuto dal primo matrimonio, la sorella, il cognato, il nipote, i genitori ormai defunti, amici di lunga data, ecc. Si tratta di personalità, inclusa la propria, di cui lei parla e riparla con cognizione di causa. Esse si animano e vivono in un modo persino troppo netto e definito, quasi una volta per tutte, con molta sofferenza, al punto da sembrare persino inchiodata a quelle rappresentazioni di sé e degli altri, nel ripetersi durante le sedute. Ciò che le fa difetto, invece, è il ragionamento, come se fosse impedita nel ricercarne il significato, che tende pigramente a dare per scontato, tanto la sua percezione è ricca da renderlo superfluo. Succede a lei, a me e un po’ a tutti di dissociare intelligenza da ragionamento, ritrovando così, con il secondo, la calma della ragione, che ci aiuta a vedere con pacatezza e ci libera da percezioni impregnate di pregiudizi e passioni, senza che ce ne accorgiamo. Alla mia paziente sembra ovvio, ad esempio, attribuire il motivo dei propri malesseri al comportamento del marito, che, a suo dire, sarebbe incapace di tutelare i propri interessi materiali e quelli della seconda moglie di fronte alla sua precedente famiglia, ritenuta enormemente invadente e determinata a farli valere. Ella non riesce a considerare gli antefatti: per anni ha condiviso la propria vita con la famiglia del marito, andando apparentemente d’amore e d’accordo con i suoi membri, soprattutto con l’ex moglie e il figlio. Ma un giorno lei e il compagno decidono di sposarsi, con la benevola e curiosa approvazione della famiglia allargata, quasi fosse una piccola società paesana di cui sono parte. A questo punto, però, nascono i problemi per la coppia, perché la mia paziente, ormai moglie, sente che i suoi diritti economici e legali non vengono rispettati dai familiari del marito. Sembra quasi una storia di personaggi appartenenti a case sovrane di altri tempi, dove Sua Maestà il Re è formalmente coniuge della Regina, ma condivide la propria vita affettiva e sessuale con un’altra donna della corte, sotto gli occhi di tutti. Ma la "Preferita" oserebbe mai far valere i suoi diritti morali di coniuge di fronte al Re e alla Regina, formalmente riconosciuti come monarchi reali? La mia paziente, invece, lo fa, dimenticando che, per la famiglia del marito, di cui lei stessa fa parte, continua a essere semplicemente la "Preferita" e per nulla la moglie e nuova sovrana della casa, con diritti sulle proprietà del compagno. Si slatentizzano allora contrasti, prima avvertiti solo confusamente, tra la paziente, il marito e l’ampia famiglia nella quale vivono. Diventa inevitabile, a questo punto, mettere in opera la propria capacità di ragionare, perché le percezioni di un tempo non sono più valide per orientarsi nella complessa realtà delle relazioni ora emerse. "Ragioniamo con calma" si usa dire nel linguaggio corrente, dove la calma pare essere un attributo essenziale della Ragione. Mentre l’incalzare dei pensieri nel sostenere un proprio punto di vista o una percezione sembra costituire pseudoragionamenti: si tratta, in realtà, di esplicitazioni ulteriori e passionali di quanto si sta pensando, ben diverse dal ragionamento calmo e autentico. Nel vasto gruppo familiare della mia paziente si accaniscono così percezioni rigide e obsolete, che cozzano le une contro le altre, prive di qualunque approfondimento riflessivo. Fortunatamente, la paziente inizia ad accorgersi, almeno a tratti, che è perfettamente inutile continuare a colpevolizzare il marito perché non si comporta come lei vorrebbe nei confronti dell’ex moglie e del figlio, facendo notevoli progressi nel proprio lavoro interiore. Appare così evidente la funzione della riflessione personale nel modificare le proprie percezioni, che tenderebbero altrimenti a rimanere sempre uguali a sé stesse. Ma non è così per gli altri, a cominciare dal marito, che continuano a vivere dentro convinzioni ormai logorate dal tempo. Occorre quindi un grande impegno di ragionamento per modificare le proprie convinzioni solo intellettive, altrimenti il malessere, il disadattamento, le incomprensioni e i litigi sono inevitabili. Consideriamo ora i contenuti della nostra conoscenza, sempre secondo Mancuso. Occorre orientare fin da subito i nostri pensieri al Bene, evitando un eccesso di intellettualismo e di gioco mentale, che ci porterebbe a considerare anche ipotesi negative sulla condizione umana. È esemplare, in questo senso, l’eccessiva fascinazione per un grande filosofo del pensiero decadente come Friedrich Nietzsche, che ha influenzato generazioni di intellettuali e professionisti del pensiero psicoterapeutico con la propria raffinata intelligenza e la teoria del superuomo, libero da qualunque vincolo morale. Così, il filosofo ci conduce inevitabilmente a una visione pessimista dell’essere umano, soprattutto postulando due categorie di uomini: i Superuomini e quelli ordinari, al servizio dei primi. Mi trovo allora d’accordo con Mancuso, vedendo anche nel mio lavoro le conseguenze negative di un tale errore. Lo stesso vale per gran parte del Buddismo, che ci mette in guardia dal limitarci alla pratica della Meditazione, la quale, pur sviluppando qualità elevate della mente umana, deve essere sempre accompagnata dall’impegno verso gli altri. Siamo infatti fin dall’inizio chiamati a seguire cinque precettidoveri- comportamenti verso il prossimo, la cui pratica non va mai disgiunta dalla cura meditativa della propria interiorità. Eccoli: astenersi dall’uccidere o dal nuocere agli esseri viventi; astenersi dal rubare; astenersi dall’erronea condotta sessuale; astenersi dall’uso di un eloquio volgare o offensivo e dal mentire; astenersi dall’alcool e dalle sostanze che alterano la lucidità mentale. Vale la pena riflettere su questi precetti e sul loro parallelo con i dieci comandamenti della tradizione cristiana. In particolare, il Buddismo enfatizza il divieto assoluto di assumere sostanze stupefacenti, ritenendo essenziale mantenere una mente lucida e chiara. La pratica meditativa è infatti interamente volta alla crescita di una mente aperta e vigile, orientata all’ideale del Risveglio, in netta opposizione alle visioni libertarie di Nietzsche. Mancuso contrappone a quest’ultimo un altro grande filosofo, Kant, che, con la massima “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”, ribadisce l’essenzialità della morale in qualsiasi pratica ascetica.
Meditazione e Psicologia del Profondo - Lezione 8
di Sergio Audenino